Memories

Grazie a tutti i navigatori che hanno caricato i loro testi. Tra le poesie inviate, ne ho scelte due: la prima ha una grande forza, il linguaggio decisamente non banale, che avvolge il tema (la poesia, la scrittura) d’un chiaro mistero (addirittura sospetto si tratti di una poesia di un qualche grande autore che il lettore ha caricato sul sito per scherzo! Caro SerKum, se così fosse rivelaci la reale provenienza di questo testo!); l’altra, d’una poetica un po’ acerba, ha una piacevole freschezza descrittiva, e il luogo in cui l’autore è stato colto da ispirazione mi è caro in molti modi. A presto!

SerKum

E’ tardi per lasciarsi prendere da bramosie e languidi sospiri.
Le parole sono tutte troppo chiare,
gli arcaismi sepolti, le forme finite.
Stendo un ode al nuovo Poeta, che non ho mai visto…
Volete strade lastricate di vermi brulicanti?
Bruciate i capelli d’oro, i raggi di sole, le candide carni:
non avrete più fumi inebrianti, né eterei veli.
Si straccino i credi, lasciando i se fossi ai piccoli.
E se avremo infiniti orizzonti, impetuosi torrenti e terre remote?
si abbandoni la Poesia.
Se non sarò il Poeta, mi si ricordi perché sono il suo battista.

Maurizio Battello

Milano, 7 Aprile 2004, Parco Sempione, 13.25

Cielo manzoniano, nuvole cumuli si stagliano in un cielo di Provenza;
cespugli in fiore, alberi in silhouette, assieme alle merlate ghibelline.
Prati tosati verde primavera e foglie novelle di ippocastani e platani,
gemme sui rami di cedro e boccioli di rosa lungo il sentiero ghiaietto.

Impiegati in pausa pranzo seduti all’esterno dei rinnovati chioschi;
turisti Japan e venditori Islam alla Porta Barchio del Castello di Sforza.
Adolescenti amoreggianti su panchine di legno, ma in un altro pianeta;
nonni-papà a spasso con i bimbi-nipoti. In volo merli, passeri e storni.

La natura si rinnova, una mandarina duck nuota nel laghetto di mezzo;
oltrepasso il ponte delle quattro Sirene e mi sento la morte addosso.
incrocio la gatta Rosina ed un fastidioso e basculante piccione che ha
la zampetta monca di due dita, ma spaccato in quattro è il mio cuore!

Tutto attorno vita ed aria solare, mentre il mio spirito sta soffocando!
Ricerco affetto per le mie vene, ho dato finora amore a piene mani.
Chiodo fisso Rossana.
cazzo, ma lei non mi ama!

Pane di nuvola

Intervento di Donatella Bisutti alla presentazione della raccolta di poesie a Milano, 1993.

Non conoscevo Laura. L’ho conosciuta stasera, qui; e non la conoscevo, ovviamente, come poetessa, essendo questo il suo esordio, nè avevo mai letto niente di suo, prima. Devo dire che é stato un incontro felice, cosa che non succede tanto spesso. Penso che l’autrice abbia effettivamente delle qualità, anche se é molto giovane, e avrà bisogno di tempo per effettuare un suo percorso; ma già in questo primo libro, si sente la promessa di un cammino interessante. La cosa che più mi ha colpito, così, alla prima apertura di libro, diciamo… é il tono molto fresco, e contemporaneamente un certo gusto dell’ironia… un’ironia molto leggera, molto trattenuta, in punta di penna, che segnala un certo distacco dalle cose, come di una che non si fa travolgere troppo. Già il primo testo, che ha anche una forma grafica particolare, nel quale anche le frasi messe tra parentesi contribuiscono a dare un senso molto ironico al tutto (“Un usignolo…”).

Quindi: come primo impatto con questa poetessa abbiamo subito questa freschezza, questa levità; e questa sottile ironia… Un’altra caratterisca che mi ha colpita in queste pagine é il gusto della sensazione che l’autrice ha, della sensazione fisica sentita con molta forza. C’é in queste pagine abbondanza di vita… il che si può capire, alla sua età… ma comunque non tutti abbondano di vita, nemmeno alla sua età, e soprattutto non tutti hanno questa capacità di manifestarla. Quindi: lei coglie il mondo attraverso le sensazioni fisiche. Sono sensazioni violente, di grande immediatezza.

Addirittura il processo razionale é visto dall’autrice attraverso la sensazione:

Campane d’estate

L’estate scivola pigra/ tra falci enormi/ di luna vicina/ nelle sere d’aria e luce/ dopo i temporali/ Tra riflessi accecanti/ di sole sul cemento,/ suoni di campanili vicini/ nel fondo di traffico/ ticchettii di tastiere,/ neon sbiaditi del giorno, / doppi vetri chiusi e fili/ di fresco dal condizionatore./ Tra notti d’afa, il gatto /
che chiama, e yogurt/ e frutta in giardino,/ tra basilico e menta/ e attesa/ d’acqua che bolle e caffé/ che sale, tra foto e libri/ parole
dalla carta/ negli occhi.


Abbiamo notazioni molto quotidiane, molto realistiche, e nel finale queste “parole/ dalla carta/ negli occhi” diventano un percorso di sensazione, non é più una cosa puramente intellettuale. Addirittura lo si potrebbe definire un processo di fusione con la sensazione. Anche: “Indosso/ il blu della sera/ e il rosso/ cupo del pozzo/ fluida/ e trasparente/ scivolo/ olio profumato/ oltre la porta.” in cui la poetessa si immedesima a tal punto con la realtà esterna che le trasmette questa sensazione che, dice, la indossa, e questo fluiida e trasparente sta per la permeabilità nei confronti della realtà esterna.

Di quella abbondanza di vita di cui parlavo prima é un buon esempio:

“Galoppo/ cavalcatura mia/ ha il colore del vento/ e del velluto/ della notte d’estate/ caldo e luci/ punti di stella sul nero/ tessuto prezioso/ galoppa veloce/ maestosa e scura/ rubini di occhi/ e sbuffi attorno/ cavalco/ curva sul suo collo.”

Quest’idea del galoppo rende la pienezza di vita, di vitalità; una pienezza in cui l’autrice in parte si identifica, avendo contemporaneamente la consapevolezza del pericolo che c’é nell’abbandonarsi: si ha l’impressione che sia il cavallo a condurre il gioco, e che non sia il cavaliere a guidare il cavallo, ma il cavallo a trascinare il cavaliere!

La psicologia stessa dell’autrice viene espressa attraverso le sensazioni, la percesione che lei ha del proprio corpo. Per esempio: “Vecchie/ paure tornano/ alle spalle/ sparse che erano/ si radunano/ alla base del collo/ fauci serrate/ sulla nuca.”

Dal punto di vista dello stile, poi, la poesia di Laura D’Incà ha anche una notevole fermezza di scrittura, una scrittura che dà l’impressione di posarsi sulla carta con notevole determinazione. C’é già una misura, una scansione che ha un suo rigore, un’economia di parole; non ci sono sbavature, non c’é eccesso di aggettivazioni. Per esempio, la parte finale della poesia di pagina 12:

“Sole sarò/ e gocce di pioggia/ sarò vento/ e mani sottili/ sarò foglie/ e fili d’erba/ velluto/ profumo di bosco/ e di cielo/ e cielo sarò./ Camoscio, alce/ lepre, volpe/ lupa e orsa. Aquila./ Avrò ali grandi/ e artigli/ e becco/ e un/ nido enorme.”

é una poesia abbastanza prosciugata, che é una cosa un po’ insolita in una ragazza così giovane, perché in genere si tende a scrivere in eccesso, e non sempre si trova la capacità poi di ripulire il testo, di lavorarci su per portarlo a un suo rigore, lavoro che in poesia é sempre necessario. Così il senso di irruenza del “Galoppo” é dato anche da questo “nido enorme”, ma la violenza, alla fine, é contenuta.

Otto poesie per WSF

Correva l’anno 2015 quando, per intercessione della poetessa Emilia Barbato, mi fu dato il privilegio di apparire con otto poesie sulle pagine del “Words Social Forum”.

Le poesie erano state pubblicate in precedenza sulla rivista letteraria “Nuovi Confini” (N. 12 settembre 2001 e N. 10 marzo 2003) diretta da Paolo Lezziero per “La Vita Felice”.

La zucca
Passaggi a livello
Trasparenze
Balene all’orizzonte
Dalla terra sorgevo
L’ultimo giorno
La visione
L’albero

Leggile su WSF

C’è abbraccio e abbraccio (l’addio)

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C’è abbraccio e abbraccio. Ci sono gli abbracci pro-forma, quelli in cui si sta un po’ distaccati, un passo indietro rispetto alla distanza che permetterebbe di abbracciarsi davvero; ci sono gli abbracci rapidi amichevoli con pacca sulla spalla (ci si abbraccia davvero, per un tempo brevissimo, di solito sorridendo);  gli abbracci d’allegria, come quelli che ci si scambia durante un incontro sportivo. Ci sono abbracci di così tanti tipi, che se vi raccontassi semplicemente “ci siamo abbracciati”, come potreste capire?

Lui era dritto, perfettamente diritto, come sempre
(perché il suo corpo è stabile, la sua schiena inflessibile).

Lui stava diritto, dunque, ed era ora di andare.
Lei stava lì, leggermente sbilanciata a sinistra.
Il braccio destro di lei intorno alla vita di lui.
Il braccio sinistro di lui attorno alle spalle di lei.
Le mani erano aperte, aderenti alla schiena che ciascuno toccava.

Con delicatezza e decisione, a lungo, si strinsero.
Da dove si trovava, non poteva vedere il suo viso.
Sorridendo, chiuse gli occhi e disse: “Ci sono anche cose belle.
Questa per esempio” e disse: “Forse non era il momento giusto”

E questo fu l’addio numero due, che teniamo buono. Perché abbiamo tutti bisogno di un addio decente, anche se non capitano, quasi mai.

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Essere soli è

“Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.” (Jacques Prévert)

Essere soli è
di Selima Hill (trad. L.D’Incà)

Essere soli è non spogliarsi mai.
Essere soli è indossare berretti da notte.
Essere soli è cercare di prendere sonno
ed essere costantemente interroti
da ragni giganti diretti alla dispensa;
da falene grosse come pipistrelli
che sbattono il loro testolone
contro il mio cuscino;
da pipistrelli il cui piano
è installarsi tra i miei capelli,
da mosconi dall’aria squallida
che si fanno qualche vasca sulla la mia finestra,
e indomiti maggiolini
che provano il tip-tap
a quel punto
tutto quel che voglio è andare a dormire
e sognare una donna – sono io? –
che corre verso te con le braccia dispiegate
in un vestitino al ginocchio che le sta da dio.
Ma no. Non posso.
Devo restare sveglia.
Ogni formica d’Inghilterra è per strada.
Arrivano in file rosse da tutte le parti
e portano greggi di pecore dall’aria truce.

Being single is
by Selima Hill

Being single’s never being nude.
Being single’s wearing hats in bed.
Being single’s trying to get to sleep
and constantly being interrupted
by important-looking spiders
marching off
to the best poison shops;
by moths like bats
banging their fat heads
against my pillow;
by bats whose plan
is to station themselves in my hair,
by mean-looking flies
doing their lengths on my window,
and indomitable old cockchafers
rehearsing their clicketty-clacks
at such a pitch
all I want to do is go to sleep
and dream about a woman – is it me? –
running towards you with her arms outstretched
in a little knee-length dress that suits her perfectly.
But no. I can’t.
I’ve got to stay awake.
Every ant in England’s on its way.
They’re coming in red columns from all sides
driving flocks of ferocious-looking sheep.