Intervento di Donatella Bisutti alla presentazione della raccolta di poesie a Milano, 1993.
Non conoscevo Laura. L’ho conosciuta stasera, qui; e non la conoscevo, ovviamente, come poetessa, essendo questo il suo esordio, nè avevo mai letto niente di suo, prima. Devo dire che é stato un incontro felice, cosa che non succede tanto spesso. Penso che l’autrice abbia effettivamente delle qualità, anche se é molto giovane, e avrà bisogno di tempo per effettuare un suo percorso; ma già in questo primo libro, si sente la promessa di un cammino interessante. La cosa che più mi ha colpito, così, alla prima apertura di libro, diciamo… é il tono molto fresco, e contemporaneamente un certo gusto dell’ironia… un’ironia molto leggera, molto trattenuta, in punta di penna, che segnala un certo distacco dalle cose, come di una che non si fa travolgere troppo. Già il primo testo, che ha anche una forma grafica particolare, nel quale anche le frasi messe tra parentesi contribuiscono a dare un senso molto ironico al tutto (“Un usignolo…”).
Quindi: come primo impatto con questa poetessa abbiamo subito questa freschezza, questa levità; e questa sottile ironia… Un’altra caratterisca che mi ha colpita in queste pagine é il gusto della sensazione che l’autrice ha, della sensazione fisica sentita con molta forza. C’é in queste pagine abbondanza di vita… il che si può capire, alla sua età… ma comunque non tutti abbondano di vita, nemmeno alla sua età, e soprattutto non tutti hanno questa capacità di manifestarla. Quindi: lei coglie il mondo attraverso le sensazioni fisiche. Sono sensazioni violente, di grande immediatezza.
Addirittura il processo razionale é visto dall’autrice attraverso la sensazione:
Campane d’estate
L’estate scivola pigra/ tra falci enormi/ di luna vicina/ nelle sere d’aria e luce/ dopo i temporali/ Tra riflessi accecanti/ di sole sul cemento,/ suoni di campanili vicini/ nel fondo di traffico/ ticchettii di tastiere,/ neon sbiaditi del giorno, / doppi vetri chiusi e fili/ di fresco dal condizionatore./ Tra notti d’afa, il gatto /
che chiama, e yogurt/ e frutta in giardino,/ tra basilico e menta/ e attesa/ d’acqua che bolle e caffé/ che sale, tra foto e libri/ parole
dalla carta/ negli occhi.
Abbiamo notazioni molto quotidiane, molto realistiche, e nel finale queste “parole/ dalla carta/ negli occhi” diventano un percorso di sensazione, non é più una cosa puramente intellettuale. Addirittura lo si potrebbe definire un processo di fusione con la sensazione. Anche: “Indosso/ il blu della sera/ e il rosso/ cupo del pozzo/ fluida/ e trasparente/ scivolo/ olio profumato/ oltre la porta.” in cui la poetessa si immedesima a tal punto con la realtà esterna che le trasmette questa sensazione che, dice, la indossa, e questo fluiida e trasparente sta per la permeabilità nei confronti della realtà esterna.
Di quella abbondanza di vita di cui parlavo prima é un buon esempio:
“Galoppo/ cavalcatura mia/ ha il colore del vento/ e del velluto/ della notte d’estate/ caldo e luci/ punti di stella sul nero/ tessuto prezioso/ galoppa veloce/ maestosa e scura/ rubini di occhi/ e sbuffi attorno/ cavalco/ curva sul suo collo.”
Quest’idea del galoppo rende la pienezza di vita, di vitalità; una pienezza in cui l’autrice in parte si identifica, avendo contemporaneamente la consapevolezza del pericolo che c’é nell’abbandonarsi: si ha l’impressione che sia il cavallo a condurre il gioco, e che non sia il cavaliere a guidare il cavallo, ma il cavallo a trascinare il cavaliere!
La psicologia stessa dell’autrice viene espressa attraverso le sensazioni, la percesione che lei ha del proprio corpo. Per esempio: “Vecchie/ paure tornano/ alle spalle/ sparse che erano/ si radunano/ alla base del collo/ fauci serrate/ sulla nuca.”
Dal punto di vista dello stile, poi, la poesia di Laura D’Incà ha anche una notevole fermezza di scrittura, una scrittura che dà l’impressione di posarsi sulla carta con notevole determinazione. C’é già una misura, una scansione che ha un suo rigore, un’economia di parole; non ci sono sbavature, non c’é eccesso di aggettivazioni. Per esempio, la parte finale della poesia di pagina 12:
“Sole sarò/ e gocce di pioggia/ sarò vento/ e mani sottili/ sarò foglie/ e fili d’erba/ velluto/ profumo di bosco/ e di cielo/ e cielo sarò./ Camoscio, alce/ lepre, volpe/ lupa e orsa. Aquila./ Avrò ali grandi/ e artigli/ e becco/ e un/ nido enorme.”
é una poesia abbastanza prosciugata, che é una cosa un po’ insolita in una ragazza così giovane, perché in genere si tende a scrivere in eccesso, e non sempre si trova la capacità poi di ripulire il testo, di lavorarci su per portarlo a un suo rigore, lavoro che in poesia é sempre necessario. Così il senso di irruenza del “Galoppo” é dato anche da questo “nido enorme”, ma la violenza, alla fine, é contenuta.